minchella the specials visto rivisto

di Andrea MInchella

VISTO

THE SPECIALS-FUORI DAL COMUNE, di O. Nakache, E. Toledano (Hors Normes, Francia 2019, 114 min, Sky Premiere).

Un colpo al cuore. E poi una carezza. Un sorriso, e di nuovo un pugno nello stomaco. Una lacrima ed un abbraccio. Questo è il ritmo di “The Specials”, un piccolo ma potente viaggio dentro il complesso tema della disabilità e delle strutture che ogni giorno cercano, nel migliore dei modi, di dare assistenza a tutte le persone fragili e malate di cui la società contemporanea sembra non avere tempo né interesse per occuparsene.

Un Vincent Cassel vero e centrato ed un entusiasmante Reda Kateb sono due amici e colleghi che si occupano in prima linea di ragazzi affetti da autismo, prevalentemente, cercando di inserirli di nuovo in qualcosa che assomigli il più possibile ad una esistenza normale. Bruno, ebreo e in cerca, invano, di una donna con cui condividere la sua difficile esperienza, e Malik, musulmano padre di famiglia, sono due punti di riferimento importanti perché nelle loro strutture cercano sia di assistere e reintegrare i ragazzi fragili e malati, sia di salvare dalla strada ragazzi difficili, e lontani dalla scuola o da un lavoro, per dare loro la possibilità, dopo un breve corso di formazione, di diventare personale qualificato attivo nel percorso terapeutico dei pazienti.

Da subito assistiamo ad un viaggio intenso e coinvolgente in cui le fragilità dei pazienti sembrano essere ossigeno necessario per i due protagonisti che, sembra, non potrebbero svolgere altro mestiere. La capacità di Bruno di proteggere l’indifeso e buffo Joseph diventa una potente paternità che pochi padri sono in grado di esprimere nei confronti dei loro figli. La tenacia di Malik nel voler a tutti i costi insegnare un mestiere al fragile Dylan diventa una forza disumana che potrebbe mettere al riparo dal pericolo qualsiasi essere vivente. Il lavoro che svolgono i due protagonisti è una vera missione di vita. L’intera vicenda è permeata da una religiosità laica che abbraccia ogni loro azione trasformandola in una testimonianza potentemente evocativa ed iconografica. In queste associazioni, a cui mancano tutte le “conformità” che uno stato civile, giustamente, impone, avvengono miracoli e non esistono barriere di nessun tipo. Ebrei, musulmani, cristiani e atei possono dare, in egual misura, un apporto prezioso ed unico.

L’integrazione, in questa Parigi nascosta e offuscata, è ad uno stato avanzatissimo: non esistono differenze di razza né di religione.I miracoli, appunto, avvengono tutti giorni, senza che nessuno cerchi o voglia riconoscenza. I due protagonisti vogliono soltanto svolgere il loro lavoro senza dover rendere conto all’imponente e ingessata macchina burocratica che toglie poesia e dolcezza nel duro lavoro di questi operatori, senza i quali la società si ritroverebbe faccia a faccia con una serie di problematiche che non vuole vedere né risolvere. Dunque i due registi di “Quasi Amici” ci regalano un’opera unica e potente, il cui epilogo è una perfetta armonia tra immagini, musica ed emozioni. La sequenza finale ci regala un’atmosfera magica e commovente e la preziosa sorpresa che Bruno e Malik non sono pura invenzione, ma sono due persone vere alle quali questo film è ispirato. Un racconto vero ed emozionante che vale la pena farsi raccontare.

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RIVISTO

IL GRANDE COCOMERO, di Francesca Archibugi (Italia-Francia 1993, 100 min.).

Ispirato all’esperienza unica del neuropsichiatra Marco Lombardo Radice, sperimentatore di terapie innovative nella cura dei disturbi psichici dei minori, questo capolavoro della dolce e poetica Francesca Archibugi ci racconta di un uomo e della sua passione viscerale per la scienza e per l’amore del prossimo. Un gigantesco Sergio Castellitto interpreta un medico dedito alla sua professione e contro ogni stereotipo della malattia mentale.

Nel suo ospedale sperimenta ogni mezzo affinchè nessuno dei suoi pazienti senta sulla propria pelle il freddo asfissiante della malattia mentale. Il rapporto, poi, che instaura con la piccola e determinata Pippi trasforma l’intera vicenda in una poetica e profonda storia di rapporti famigliari mancati e di genitorialità acquisite. Intenso e struggente, il racconto sfiora soltanto la psicologia degli adulti, per soffermarsi con una delicatezza rara sull’anima dei piccoli e fragili pazienti del rassicurante e paterno Arturo.

Magica ed emozionante la sequenza in cui Arturo e i suoi pazienti intonano una stonata “Donna Cannone” come terapia salvifica per la piccola e indifesa Marinella.

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