L’empatia è uno delle abilità emotive più preziose: ci permette di comprendere gli altri mettendoci nei loro panni. Spesso però un’empatia fuori controllo è estremamente pericolosa.

contagio emotivo
(Fonte: Pixabay)

Il termine empatia, come moltissimi altri termini propri della medicina, della psicologia e della filosofia, è di origine greca. Alla lettera, significa “sentire dentro” ma, in una maniera più corretta, oggi lo tradurremmo con il termine “interiorizzare”.

Empatizzare con un altro significa mettersi nei panni dell’altro, comprendendo a fondo sia i suoi sentimenti sia le sue intenzioni. 

Com’è facile intuire, l’empatia è un’abilità sociale fondamentale, che permette la comunicazione autentica tra individui. Una persona empatica sarà in grado di comprendere anche i segni non verbali alle spalle di una comunicazione, riuscendo a cogliere i sentimenti che si celano dietro spessissimo dietro alle parole.

Affinché l’empatia funzioni in maniera appropriata è comunque necessario che il soggetto empatico riesca a non perdere di vista il confine tra se stesso e la persona con cui sta empatizzando. Quando questo purtroppo avviene si parla di contagio emotivo: la persona empatica arriva a essere travolta dai sentimenti altrui, non riuscendo più a mantenere il proprio equilibrio emotivo.

Quali sono i segnali d’allarme del contagio emotivo? Come si fa a capire se stiamo varcando il confine oltre il quale l’empatia diventa pericolosa?

Quando l’empatia è fuori controllo: il contagio emotivo

mamma stanca
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La definizione moderna di empatia, formulata nel 1994, è: “la capacità di immedesimarsi con gli stati d’animo e con i pensieri delle altre persone, sulla base della comprensione dei loro segnali emozionali, dell’assunzione della loro prospettiva soggettiva e della condivisione dei loro sentimenti”.

Naturalmente l’empatia va di pari passo con l’affetto: sviluppiamo maggiore empatia nei confronti delle persone verso cui proviamo sentimenti d’amicizia, di stima o, naturalmente, un legame di tipo sentimentale.

Anche la compassione si affianca spesso all’empatia: è il sentimento che ci spinge a voler aiutare a tutti i costi coloro che si trovano in difficoltà, poiché la nostra empatia ci spinge a “sentire sulla nostra pelle” la loro sofferenza.

Naturalmente l’empatia è una funzione emotiva molto positiva ed è considerata in maniera estremamente preziosa all’interno della nostra società attuale. Purtroppo, molte persone interpretano questo segnale sociale come un invito a essere empatici sempre e a essere il più empatici possibile per ottenere sempre il più alto grado possibile di stima e riconoscimento sociali.

Il problema si pone proprio a questo punto, dal momento che l’eccesso di empatia può portare depressione ed esaurimento nervoso nelle persone che non sono in grado di provarla con moderazione.

Lo psicologo Daniel Goleman affermò che ognuno di noi è responsabile dei sentimenti delle persone con le quali interagisce ogni giorno, sia in positivo sia in negativo. Questo significa che il nostro comportamento e il nostro modo di comunicare “si rispecchia” nelle persone che abbiamo intorno, influendo pesantemente sulla loro emotività.

Questo meccanismo, perfettamente naturale, è indicato con il nome di contagio emotivo: vedere un bambino che piange in mezzo alla strada nella maggior parte di casi ci farà correre in suo soccorso, ricevere una risposta sgarbata da un nostro amico ci farà essere probabilmente ancor più sgarbati nei suoi riguardi e così via.

Il contagio emotivo avviene attraverso il sistema dei neuroni specchio, ovvero attraverso l’attivazione nel nostro cervello degli stessi circuiti cerebrali attivi nella persona che abbiamo di fronte. In parole povere, quando i nostri occhi percepiscono un’espressione di dolore, la trasmettono al nostro cervello che “attiva” i propri sensori del dolore, tanto che ci sentiamo noi stessi in parte “addolorati”.

Una persona troppo sensibile o eccessivamente empatica finisce per attivare i neuroni specchio sempre e a un livello più profondo rispetto a una persona che sperimenta un livello di empatia normale.

Ovviamente, una persona con un grande carisma o comunque con una forte capacità comunicativa, sarà in grado di influenzare l’emotività di un intero gruppo, a patto che queste persone siano più ricettive o addirittura troppo ricettive nei suoi confronti. Si tratta di situazioni che si sviluppano in maniera estremamente frequente in ambito lavorativo o amicale: il gruppo asseconda in maniera consapevole o inconsapevole le direttiva di una sola persona o al massimo di un gruppo di persone estremamente ristretto, mentre gli altri si limitano a “seguire ed eseguire”.

Se il contagio emotivo è alla base delle nostre relazioni sociali, bisogna fare in modo che esso non diventi patologico. Le persone con troppa empatia si lasciano “contagiare” dalle emozioni altrui senza riuscire più a liberarsene per un lungo periodo, esattamente come se avessero contratto un virus emozionale.

Una persona che è rimasta invischiata nel contagio emotivo si sente intrappolata nelle emozioni altrui e finisce con il perdere la propria identità emotiva, dal momento che si limita a provare ciò che provano gli altri, addirittura amplificando quelle sensazioni o facendole durare molto più a lungo.

C’è anche da tenere presente che le persone con molta empatia sono più facilmente manipolabili da parte di quegli individui che non si fanno scrupoli e che sfruttano questa loro debolezza mettendo in atto una serie di strategie di manipolazione da cui bisogna imparare a difendersi.

Quando ci rendiamo conto che gli “strascichi” delle emozioni altrui ci portano a star male per un lungo periodo di tempo, la cosa migliore da fare sarebbe evitare le persone che diffondono emozioni negative, circondandosi soltanto di coloro che sono in grado di condividere positività.

empatia contagio emotivo
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Naturalmente questo non sempre è possibile, al contrario si tratta di un’operazione molto complessa da attuare poiché non è semplice “troncare” rapporti che magari durano da anni. Limitarsi ad allentare la frequentazione delle persone negative potrebbe essere allora un buon inizio. Naturalmente a questo primo passo dovrà seguire un serio impegno emotivo prendere le distanze dalle persone che ci circondano, limitando la nostra empatia ad alcuni momenti, persone e situazioni che “valgono la pena” del nostro coinvolgimento.



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