Una Mercedes e un cane di lusso comprati con i soldi della solidarietà. La bufera scatenata dal caso di Malika Chalhy, la ragazza che aveva denunciato di essere stata cacciata di casa perché lesbica e a favore della quale erano state lanciate due raccolte fondi attraverso Gofundme che avevano sfiorato i 150mila euro, invita a riflettere sul proliferare del crowdfunding. Dove finisce la libertà del beneficiario di fare ciò che vuole della solidarietà ricevuta e dove inzia l’obbligo di rendicontare? E come veicolare al meglio la propria solidarietà, soprattutto quando si deve mettere mano al portafogli? Domande complesse, dove la legge si mescola all’etica e il buonsenso si intreccia con la trasparenza. Qualche dritta la fornisce l’avvocato Claudio Cricenti dell’Ufficio legale di Codacons, l’associazione a tutela dei consumatori che anche sulla raccolte fondi da tempo segnala anomalie. E su cui va in pressing. Per esempio chiedendo (e ottenendo) trasparenza alla piattaforme e agli enti “raccoglitori” su quanto della cifra devoluta andrà al  progetto sostenuto e quale percentuale sarà invece trattenuta per altre spese o finalità. 

Avvocato Cricenti, di chi e di cosa fidarsi di fronte a una raccolta fondi? “Come Codacons siamo dell’idea che l’accentramento debba essere in capo alla Protezione civile o comunque  a un ente pubblico che segua l’attività di raccolta e la successiva distribuzione dei fondi. Questo per quelle finalità che hanno valore pubblico”.

Ma non tutte sono così… “Per i privati il discorso è più complesso. E non c’è una linea unica per dire quale piattaforma sia più sicura. Certo se il destinatario finale è un ente che ha comunque una funzione pubblica è più facile accedere poi ai dati. Come facemmo per la beneficenza andata al San Raffaele (la campagna promossa in piena pandemia da Fedez e Chiara Ferragni, ndr)”.

In caso contrario si rischia la beffa? “Se la finalità filantropica e poco riconducibile a una associazione nota diventa difficile capire se i fondi sono andati a coprire gli interventi promessi”.

Il cittadino benefattore può rivalersi? “Dipende. Certo, se si può accertare che sia il beneficiario sia la piattaforma erano consapevoli che i fondi non sarebbero stati utilizzati per quanto dichiarato, si può agire. In sede penale si può anche puntare sull’indebito arricchimento”.

E in sede civile? “Riavere i soldi, questo è il punto, è difficile. Prendiamo l caso di un crowdfunding per permettere a un bambino di operarsi, mettiamo, in Australia. E poi l’operazione non si può fare. Il genitore potrebbe restituire i soldi. In caso contrario avrà un patrimonio su cui rivalersi? Sono situazioni rischiose”.

Ma può agire il singolo cittadino che ha versato una somma magari minima? “Impensabile supporre che un singolo affronti da solo dei colossi o dei personaggi noti. Ci sono spese, talvolta difficoltà logistiche, per avere indietro magari 10 euro. Meglio un’azione collettiva, che non è una class action. In questi casi compito dell’associazione è di sostituirsi al cittadino”.

Possibilità di successo? “Dipende dai soggetti coinvolti. Ma non è impossibile: se la finalità dichiarata non viene rispettata è ragione per agire. Ma lo scopo è quello di porre, in questo modo, dei paletti. Il nostro ruolo fondamentale è un altro”.

Quale? “Puntare sull’informazione preventiva, che è la vera risposta. Non ci si può affidare ai social. La forza delle principali piattaforme può indurre il cittadino che tutto ciò che sia veicolato da loro sia anche controllato. Noi chiediamo trasparenza e comunicazioni sul numero delle donazioni e il loro uso”.

Il fenomeno è in crescita? “Continua. Perché più crescono i sistemi di diffusione e più possono verificarsi queste situazioni”.

Infine una lanterna per il cittadino: come può scegliere a quali buone azioni dedicarsi? “In linea di massima, tra pubblico e privato, meglio il pubblico, più macchinoso ma più facile da controllare. In ogni caso chi vuole donare faccia delle verifiche, sull’esistenza del problema da risolvere  e sul beneficiario, anche contattandolo, laddove possibile. Comunque meglio un approccio cauto piuttosto che un clic facile” 

 



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